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sabato 16 dicembre 2017

DUBAI - La citta` dalle mille e una notte - 23-29 novembre 2016

Finalmente è arrivato il grande giorno, io e mia figlia siamo in partenza per la vacanza a Dubai. 
Dall'aeroporto londinese di Heathrow ci attende una lunga notte di viaggio che ci porterà nella più grande metropoli degli Emirati Arabi. L'emozione è  già alle stelle, all'arrivo in aeroporto la sorpresa è che ci hanno assegnato un posto in business class della compagnia aerea Qantas. Il servizio è eccellente e il viaggio molto confortevole, arrivando a Dubai di buon mattino. Dopo aver superato tutte le formalità doganali, pensiamo di cambiarci in aeroporto in quanto il caldo si fa già sentire, dato che eravamo partite da Londra con una temperatura che raggiungeva i zero gradi. La città è molto ben servita dai mezzi pubblici e con la metropolitana raggiungiamo il nostro Hotel nel quartiere di Deira
Insieme ai distretti di Al Fahidi e Shindaghe, è considerato parte dell'area più storica di Dubai e si estende lungo la sponda settentrionale del Creek, dove un groviglio di viuzze si intersecano all'interno di suk animati da venditori di ogni specie. 
Il Gold Souq è il luogo da non perdere per la ricchezza dei negozi che espongono con estrema naturalezza e disinvoltura gioielli d'oro, impreziositi da perle, diamanti, argento e platino. E' uno spettacolo unico al mondo per la qualità degli oggetti il cui valore è regolamentato dallo stato e secondo il tasso ufficiale dell'oro. Collane matrimoniali indiane hanno un effetto sfavillante per la complessità della lavorazione, ma anche gioielli meno impegnativi invitano all'acquisto, e magari a seguito di una contrattazione si riesce anche a spuntare un buon prezzo!
Il souq delle spezie è il classico mercato arabo dove profumi e colori ammaliano. Sacchi di juta colmi di erbe medicinali, condimenti esotici, sono affiancati da contenitori di frutta secca, dove un vociare continuo attira i clienti. Di fianco al quartiere dei mercati, percorriamo una passeggiata molto tranquilla, ci incamminiamo lungo il Creek dove gli abra, imbarcazioni storiche di Dubai, permettono la traghettata sull'altra riva. Curioso vedere ormeggiate le colorate dhow  che ricordano la storia lontana di quando Dubai era un porto franco per cui il commercio dalla Persia era molto fiorente. Ora sono ormeggiate fin dal 1830 e molto arrugginite, affiancate le une alle altre sono stracolme di mercanzia di vario tipo, e ancora oggi utilizzate quotidianamente. 
Un forte vento si solleva improvvisamente e in pochi minuti la vista si fa sempre più difficile, il cielo si scurisce, quindi decidiamo di raggiungere l'hotel velocemente per ripararci dalla bufera di sabbia che in poco tempo arriva dal deserto e ci fa respirare a fatica. Il mattino successivo è soleggiato e caldo per cui iniziamo il giro della città come era in programma, suddividendola per quartieri, tutti ben serviti dalla moderna metropolitana, dal tram e dalla rete di bus con percorsi diretti in diversi punti della città. La stazione della metro è proprio di fronte all'hotel e sulla banchina è segnata un'area “rosa” destinata all'ingresso al treno di donne e bambini, separati dagli uomini. La metropoli araba che solo pochi anni prima era solo un deserto, dove i beduini si riparavano in tende o baracche, ora la modernità sfrenata dei grattacieli più alti al mondo domina incontrastata distese enormi.  Nella Dubai Marina, un'area artificiale sottratta al deserto tra canali e darsene sono ormeggiati yacht sfavillanti. 
Sul Water Bus i residenti raggiungono il luogo di lavoro, i turisti lo utilizzano  per osservare i moderni grattacieli avveniristici affiancati gli uni agli altri da una prospettiva diversa. Tra fontane e giardini spicca Cayan Tower che si torce su se stessa come simbolo della marina. La spiaggia è invece un punto di relax per coloro che si vogliono sdraiare al sole davanti al Golfo Persico, mangiare o rilassarsi con qualche drink in uno dei tanti locali posti lungo la passeggiata lungomare. In questo giorno di festa settimanale del venerdì la banchina è occupata da un mercato  di prodotti coreani e noi tra assaggi e curiosità passiamo qualche ora. In lontananza è ben visibile il Burj Al Arab, la grande vela che si protende su un'isola artificiale. Il nostro sguardo si gira in ogni direzione, stupite da tutto ciò che ci sta attorno, non vogliamo perdere alcuna occasione di vedere le maggiori attrazioni di Dubai. La prossima opera gigantesca artificiale costruita sul golfo che decidiamo di vedere da vicino e` la Palm Jumeirah. 
La percorriamo su una monorotaia sopraelevata e senza conducente lungo il tronco di due chilometri che parte dall'ultima fermata del tram. Sicuramente è una grande emozione nel protendersi sul mare e sapere che tutto ciò è costruito su sabbia e sassi rubati alla terraferma. Alla fine del percorso, si presenta il maestoso Hotel Atlantis accessibile solo a pochi, mentre l'Aquaventure Waterpark attira una massa dei turisti. Siamo già verso il tramonto e mentre attendiamo di ripartire con il buio della sera per farci accompagnare dalle luci degli hotel, ci fermiamo per una passeggiata sul lungomare, animata da turisti e persone del luogo vestite con abiti tradizionali: le donne velate in nero, gli uomini con lunghe tuniche bianche e copricapo bianco fermato da un cordoncino. Torniamo in hotel in attesa del giorno seguente. 
Il giorno seguente ci aspetta la salita al 124° piano del Burj Khalifa. Il più alto grattacielo al mondo è un faro per la città, visibile da lontano, e che si trova all'interno del quartiere Downtown Dubai, un vivace centro urbano dove per raggiungere il grattacielo dalla fermata metropolitana si devono percorrere lunghi tunnel e passaggi sopraelevati alla città. 
Un percorso obbligato con mostre multimediali ci conduce all'ascensore che in sessanta secondi arriva alla piattaforma di osservazione At the Top. Ammirare il panorama a queste altezze è una cosa unica al mondo. Ci si può rendere conto che tutto ciò che vediamo è stato costruito dal nulla, sul deserto. Attorno grattacieli uno più stupefacente dell'altro, cantieri in continua evoluzione e, sotto di noi, il grande progetto urbanistico del Dubai Mall con negozi e ristoranti, il Souk Al Bahar e la fontana danzante. Più lontano si vede invece un arcipelago artificiale al largo del Golfo, il The Word. Si tratta di un progetto ingegneristico ambizioso che gli emiri hanno fortemente voluto.Visto dall'alto disegna il mondo con i continenti dove in futuro sarà possibile edificare, mentre per ora i lavori si sono arenati, forse per la crisi economica mondiale, o per problemi strutturali del progetto. E' un panorama a 360° quello che osserviamo da quassù e a malincuore dobbiamo scendere, ancora un minuto e siamo a terra. Un lungo corridoio ci porta all'uscita o meglio all'interno del grande Mall. Si può passare anche un'intera giornata all`interno del Mall, tra negozi e sale d'intrattenimento o nel gigantesco Acquarium. Quest'ultimo si può anche ammirare parzialmente dall'esterno attraverso un'enorme parete a vetro che ci permette di vedere pesci colorati che sfrecciano tra coralli artificiali. 
Durante il pranzo in uno dei tanti ristoranti del Souk Al Bahar lo spettacolo delle fontane danzanti ci accompagna in una coinvolgente atmosfera musicale tra enormi getti d'acqua. La sera s'illumina delle luci dei grattacieli e il Burj Khalifa è il protagonista incontrastato di tutta l'area, i suoi colori e le sue geometrie passano dal rosso all'azzurro, al verde e via....regalando un'emozione unica. 
La domenica mattina prendiamo il bus per raggiungere la Medina Jumeirah. Il lungo rettilineo che fiancheggia le più belle spiagge di Dubai, ora però inaccessibili per i numerosi cantieri, si trova in quella che un tempo era la prima e più ricca zona residenziale, dove si andava a fare shopping e si sfrecciava in macchine di lusso. Quelle che erano le vecchie ville signorili, ora sono cliniche private e studi medici specializzati. Il Burj Al Arab si avvicina sempre più nella sua grande imponenza e ben presto ci accorgiamo che è pressochè inavvicinabile. Cancelli sbarranno qualsiasi acceso e proteggono la privacy degli ospiti. Finalmente raggiungiamo la Medina, che in questa bellissima giornata di sole si presenta come un'area verde solcata da canali dove si affacciano edifici in stile arabo, il souq per fare qualche acquisto di impronta tradizionale e qualche ristorante e bar dove ci fermiamo a bere qualcosa di fresco. Il luogo è certamente molto turistico ma non per questo trascurabile; dietro s'innalza la grande vela e sotto, dall'altro lato, vi e` una spiaggia libera, una delle poche a Dubai, dove andiamo a sdraiarci per riposare e trovare un po' di refrigerio all'ombra. 
Per capire al meglio com'è nata la grande Dubai e del resto anche l'intero territorio degli Emirati non si può certo mancare di fare una visita al museo storico del distretto di Al Fahidi. Prima di tutto bisogna assolutamente immergersi nella quiete di questo borgo restaurato dove in un dedalo di vicoli che si intersecano gli uni agli altri, le case color sabbia sono sormontate da torri del vento, una sorta di costruzioni create per dare refrigerio alle stanze sottostanti. Nei cortili interni troviamo bar, negozi artigianali, delle Boutique Hotel, e con grande sorpresa anche una scuola dove un gruppo di ragazzi stanno imparando l'arte della scrittura, all'ombra di grandi alberi. Il castello fortificato é la  più antica costruzione di Dubai risalente al 1799 e prima di essere un museo era una dimora per gli emiri, poi una prigione e in seguito un presidio militare. Il museo è molto ben strutturato, tra mostre multimediali e diorami dove si può imparare che Dubai e` una citta` recentissima, nata solamente negli anni '60 con i primi pescatori di perle, sommozzatori che s'immergevano in profondità con un semplice stringinaso. Curiose sono le ambientazioni sulla vita quotidiana dei beduini: nella casa, nelle moschee, nel deserto e nel mare. E' un lungo percorso a ritroso nel tempo e fino ai nostri giorni quando la modernità ha preso il sopravvento, senza però dimenticare il passato

mercoledì 25 ottobre 2017

DRONERO 22-23-24 settembre 2017 UNA PASSEGGIATA PER LA VITA

Noi che arriviamo da lontano accogliamo con grande entusiasmo le iniziative che i nostri amici di Camminare InCamper ci propongo e, con l'arrivo nelle aree piemontesi, aggiungiamo un ulteriore tassello alla nostra conoscenza delle valli del Monviso.
La bella Val Maira già qualche anno fa ci ha fatto trascorrere alcuni giorni alla scoperta di borgate immerse in ambienti naturalistici incontaminati. Ora ci fermiamo all'imbocco della valle dove il Maira ha già percorso buona parte  del suo tratto fluviale iniziato come torrente
sulle Alpi Cozie. 

Il gruppo si ritrova, dopo la pausa estiva, presso l'area adiacente la Riserva Naturale Ciciu del Villar, dove ci attende il geologo Enrico Collo che ci accompagnerà alla scoperta del parco. E' un'area protetta molto estesa e i sentieri sono interamente immersi in una fitta boscaglia. Fin da subito si intravvedono strani fantocci di pietra o grandissimi funghi che ergono qua e là tra gli alberi,  in tutta l'area se ne contano ben 479. Il geologo ci racconta queste “sculture morfologiche”, spiegandoci  che sono paragonabili a funghi rocciosi, composti da un “gambo” su cui poggia un “cappello” costituito da un masso di gneiss. I pinnacoli hanno in genere colore rossastro per la presenza di ossidi e idrossidi di ferro. 

I cappelli sono blocchi distaccatisi da pareti rocciose che affiorano alla sommità del versante, franati e rotolati per effetto della forza di gravità. I crolli sono stati provocati, molto probabilmente, da eventi sismici che nella zona si ripetono con frequenza. La formazione dei ciciu è stata determinata da un processo d’erosione fluviale, per effetto del quale le porzioni di terreno che erano protette da grandi massi di gneis sono state preservate dalla demolizione operata dalle acque correnti e dalle piogge e sono emerse progressivamente, come colonne incappucciate, rispetto al terreno circostante profondamente scavato dagli affluenti del Rio Fanssimagna, affluente di sinistra del Maira. Quest’azione erosiva è ancora in atto ma i suoi effetti sono difficilmente percepibili soprattutto per la ridotta portata dei corsi d’acqua: le piramidi di terra attualmente evolvono per effetto della gravità, che provoca sporadici crolli dei cappelli di gneiss, del dilavamento superficiale, della pioggia e della disgregazione chimico-fisica.  Piante infestanti come la Rubinia coprono numerosi pinnacoli e tra la vegetazione ne scopriamo alcuni solitari e altri non si riescono nemmeno a vedere.  Ogni anno intervengono dei volontari per ripulire il parco dalle erbacce con lo scopo di far riemergere la bellezza del luogo.  La passeggiata continua fino ad arrivare dove un grande gruppo chiamato in gergo “famiglia”, s'impone alla nostra vista. Da sotto l'immensa struttura cerchiamo di dare una spiegazione a queste formazioni, alcune più alte, altre più piccole come ad intravvedere un “papà”, una “mamma” e i “figli”. Sicuramente la roccia sedimentaria a stratificazione ci spiega che il tempo ha giocato un ruolo importante nella formazione di pinnacoli più piccoli, frane che hanno fatto arrotolare i massi per coprirne la sommità. Ulteriori detriti si sono depositati per innalzare altri pinnacoli con massi che cadevano per formare funghi ancora più alti, fino a dieci metri. Alcune leggende si narrano attorno a questi Ciciu, ma la più raccontata è quella che vuole San Costanzo fermare i suoi inseguitori, dei soldati romani che lo volevano uccidere, trasformandoli in pietre. Ben presto la visita al parco termina e ci ritroviamo  più tardi per  la cena a base di piatti della cucina locale.
Il giorno seguente davanti alla Parrocchiale di Villar San Costanzo, comune che ospita anche la Riserva dei Ciciu, ci attende il Dr. Ezio Martino dell'associazione “Amici di Villar”, cultore della storia  del borgo che ci accompagnerà nella visita alla cripta di San Giorgio.  La storia racconta che Costanzo è stato un militare romano  e dopo essere sfuggito alla decimazione della sua legione tebea si rifugiò in Val Maira insieme ad altri suoi compagni diffondendo la parola cristiana. Perseguitato, fu decapitato dai romani sul Monte San Bernardo, dove nel VI secolo d.c. fu eretto un santuario a lui dedicato. L'abitato di Villar nasce in una piana che i romani chiamarono “cannetum”, proprio perché era un'area paludosa e malsana e quando i longobardi arrivarono in queste aree  chiamarono i monaci benedettini di San Colombano di Bobbio per bonificare le terre secondo il motto “ora et labora”. La figura dell'abate Giorgio Costantia di Costigliole nel contesto del borgo fu molto importante, tanto che si fece costruire una cappella funeraria. Gli affreschi vennero affidati a Pietro Pocapaglia da Saluzzo nel XV secolo d.c. e narrano la vita di San Giorgio. 

Dalla Cappella si accede alla Cripta , un'ampia sala dove file di colonne con capitello sorreggono i volti a tutto sesto. In questo ambiente magico durante le feste natalizie viene allestito il presepio. L'abbazia, più volte distrutta e sempre ricostruita sotto la vigile attenzione dei monaci, ebbe il suo ultimo rifacimento nel XVIII secolo. Ritornati sulla piazza, nell'intera costruzione s'impone la bella facciata barocca,  l'imponente campanile gotico e un edificio romanico, quindi possiamo concludere che la mescolanza di stili riassume la storia dell'intero complesso monastico. 
Nel pomeriggio ci spostiamo a Dronero all'imbocco della Val Maira, nell'area a noi destinata. Dove il Maira  confluisce con il rio Roccabruna è lì che Dronero si estende al di qua e al di la' del fiume. 

Case accorpate le une alle altre sono costruite lungo le due rive e, dove il fiume si fa più irruento,  il Mulino della Riviera macina come un tempo farine artigianali per produrre dolci e pane. Un tempo l'attività cerealicola si svolgeva al Foro Frumentario, una sorta di mercato coperto costruito nel XV secolo appena fuori  le mura. Dalla piazza Martiri della Libertà i portici  del teatro danno una visione d'insieme di tutto il borgo e lungo le vie, percorse da nobili edifici, si respira un'aria signorile ed elegante. 
Una lunga passeggiata ci conduce alla galleria multimediale occitana. Una guida ci introduce nella conoscenza di questo territorio che si estende in parte in Italia, Francia e Spagna. Una piccola comunità la troviamo anche in Calabria nel comune di Guardia Piemontese, dove alcuni Valdesi sfuggirono alle persecuzioni.
La lingua d'oc è l'idioma che caratterizza questa vasta area che ha influenzato la vita di popoli che qui si sono stabiliti e sono nati. I trobadors cantavano l'amore con la composizione di mots e son da far diffondere a joglars che si accompagnavano con strumenti musicali come la ghironda, una sorta di viola che trasmette suoni dalla vibrazione di corde. La storia d'Occitania ha raggruppato un popolo, con propri usi e costumi che pur riconoscendoli nell'antico, si sono trasmessi fino ai giorni nostri. Feste popolari con costumi antichi e ricercati si trasmettono da generazioni. La baìa è una festa pagana che ogni cinque anni si svolge a Sampeyere, simboleggia la rinascita e la fertilità, e viene impersonata da soli uomini. I cortei commemorano una storia antica quando i saraceni penetrati in Val Varaita, vennero scacciati dalle popolazioni locali. Gli uomini concorrono con abiti riccamente decorati dalle donne della valle. Vita quotidiana e stili antichi si tramandano fino ai nostri giorni, e le radici occitane sono ancora radicate sul territorio e vengono insegnate fin dalle scuole dell'obbligo, riconosciute come lingue madri. Sicuramente il museo è un tuffo nel passato, ma con la consapevolezza di una storia che si vive nel presente. 
Ritorniamo successivamente nel cuore di Dronero dove ci attende una piacevole sorpresa. 

Nella saletta di un'antica Tipografia ci si può tuffare in un passato rivissuto nel presente attraverso macchinari d'epoca e tecniche antiche. Si stampa ancora con matrici e caratteri in legno e piombo per realizzare tutto a mano e stampare su carte pregiate. Nobile lavoro visibile in questo piccolo museo.... 
Una passeggiata fino  al Ponte del Diavolo completa l'incontro con questo splendido borgo. 
Quel vecchio ponte che tanto incuriosisce il visitatore per il nome curioso e che solo la leggenda ne spiega il significato, dando merito alla furbizia degli abitanti di Dronero
In queste giornate abbiamo colto anche l'occasione di essere spettatori di una mostra alquanto singolare, quella del Cavallo di Merens. Questo animale originario dei Pirenei francesi, è arrivato fin nelle valli cuneesi e qui in Val Maira ha trovato un ambiente adatto al lavoro in alta quota. Di corporatura tozza, allungata ma con zampe piuttosto corte, ha il mantello nero ed è una sua propria caratteristica  Esso viene destinato a lavori in alta quota e in questi giorni di transumanza, lascia i pascoli della valle per trasferirsi nei recinti di Dronero. Alla sfilata per le vie del borgo si presentano al pubblico e con lo spettacolo finale dimostrano le loro attività sia in sella che all'attacco delle carrozze. Per noi è stata una bella scoperta e come dico sempre: “ancora un tassello per completare la conoscenza del territorio”. 
La domenica si svolge la tanto attesa “Passeggiata per la vita”. 

Per  il secondo anno  Dronero e Roccabruna si sono resi disponibili nell'organizzare questo evento a fini benefici. Lo scopo è ricordare due giovani: Anna Brignone e Paolo Rubino mancati prematuramente ai loro cari. Due famiglie che con il loro grande amore per la vita vogliono ricordare i tanti giovani che sono scomparsi per vari motivi . Più di 2500 pettorali sono stati distribuiti ai partecipanti, con persone provenienti dai comuni limitrofi e da altre, come noi, che arrivano da molto lontano, tutti accomunati dalla voglia di dare qualcosa. La passeggiata inizia dalla Piazza Martiri della Libertà, ci siamo proprio tutti: uomini, donne, alcune con passeggini, bambini, animali al seguito e tutti con addosso la maglia arancione donata dagli organizzatoti. La scelta del colore mi ha incuriosito, per cui sono voluta andare alla ricerca su internet del significato e ho trovato questo che mi è piaciuto particolarmente:

 Chi predilige l’arancione ha una grande vitalità, fiducia in se stesso,       ottimismo e buonumore. Ponderano le loro decisioni e denotano forza, onore e generosità. Il colore arancione simboleggia la comprensione, la saggezza, l’equilibrio ed armonia interiore. 
Ogni mossa di chi predilige l’arancione è gestita dalla ragione. Chi indossa indumenti di colore arancione ha un carattere gioioso, esprime buonumore e ottimismo”.

E' così che ci siamo sentiti tutti noi nell'intraprendere  il percorso di questa lunga passeggiata, incontrando e parlando con nuovi amici, condividendo un cammino per arrivare ad una meta già fissata. La lunga fiumana arancione attraversa centri abitati come S.Giuliano di Roccabruna, s'inoltra nei boschi della valle per poi scendere sulle ciclabili del Maira e infine rientra a Dronero. . 
Le giornate nella valle sono terminate e, riprendendo la via del ritorno, non si può certo dimenticare che in alta val Maira e più precisamente ad Acceglio, Matteo Olivero ha lasciato un'impronta pittorica di grande valore al suo territorio. Il carattere introverso, l'affetto per la sua terra e il grande amore per la madre che ha sempre creduto in lui, lo hanno portato a creare opere di paesaggi montani i cui colori scandiscono la divisione tra luce ed ombra. 

I suoi quadri, raccolti nell'omonima pinacoteca allestita nella saletta dell'Antico Palazzo comunale di Saluzzo ci fanno conoscere un altro aspetto delle valli cuneesi.

sabato 17 giugno 2017

SAINTES MARIES DE LA MER alla festa gitana (24-25 e 26 maggio 2017)

Le Pèlegrinage des Gitans a fine maggio raccoglie una moltitudine di gente nella cittadina di Saintes Maries de la Mer. 

Quest'anno anche il nostro gruppo di amici ha voluto trascorrere in compagnia queste giornate e partecipare ai riti e alle usanze di questa gente arrivata da ogni parte per onorare le proprie Sante Patrone.
La Camargue ci accoglie fin da subito con il paesaggio che la caratterizza, un ambiente lagunare dove il Rodano si butta in mare con i suoi due bracci. Il piccolo Rodano da una parte e il grande Rodano dall'altra creano un'ampia area umida. Da Arles ci avviciniamo a Saites Maries e già da subito il paesaggio si distingue in paludi d'acqua salmastra alternate a zone coltivate a riso. Gli stagni poco profondi danno accoglienza ai fenicotteri rosa che, con le loro zampette esili camminano sull'acqua con fare elegante. Lo sguardo si perde tra le praterie dove le mandrie di tori neri, con le corne rivolte verso l'alto, pascolano indisturbati. Poi… i bellissimi cavallini bianchi raccolti nei numerosi centri equestri,  invitano a escursioni lungo le spiagge sabbiose o tra i canali che si diramano dal fiume Rodano. 

Finalmente arriviamo a Saintes Maries e già il piccolo centro si presenta molto caotico. Le strade sono strette, tra i turisti e i gitani, a fatica si arriva in campeggio. I nomadi arrivati già da qualche giorno, s'incontrano per ritrovarsi, battezzare i figli, fare festa cantando e ballando lungo i vicoli del borgo. 
La festa inizia regolarmente ogni 24 maggio con la Messa nella parrocchiale  situata al centro del paese. Si parla di una chiesa fortificata costruita tra il mille e il millecento in pietra grezza le cui merlature si vedono anche da molto lontano. Proprio all'interno di un'unica navata alquanto spoglia e buia, si trova un pozzo d'acqua, un rifugio per la gente del luogo in cui approvvigionarsi durante gli attacchi di un tempo. Il rito è molto partecipato dagli zingari, tanto che molti devono rimanere all'esterno nella piccola piazza e la folla si accalca  per vedere, curiosare, fotografare ogni atto o rito che richiami tradizioni antiche. Intanto, finita la messa, la statua nera di Santa Sara, custodita precedentemente nella cripta della chiesa, viene portata a braccia lungo una processione per le strette vie del paese. E' la santa dei gitani per cui essi la incoronano come una regina, la vestono con abiti colorati e preziosi,  accompagnata con devozione da preghiere e canti  lungo il percorso, scortata da guardiani su cavalli bianchi. Noi ci portiamo verso il mare sur la Plage des Amphores dove sono raccolte antiche e colorate carovane di zingari. 

La gente è appostata ovunque, sulla spiaggia e lungo gli scogli; con l'attesa il caldo estivo si fa insopportabile e finalmente i cavalli  precedano il sopraggiungere della santa. Ora tutti si accalcano per acclamarla e l'accompagnano con alta devozione fino dentro l'acqua per essere benedetta, come per scandire un rituale di attesa delle due Sante Marie arrivate dal mare. Anche noi veniamo trascinati in questa multitudine e trasportati in un rito coinvolgente. Sara ritorna ancora scortata con una lunga processione di gitani nella chiesa madre. Noi riprendiamo la visita al piccolo centro, animato da bancarelle, gruppi musicali raccolti nelle piazzette o agli angoli delle vie, che intrattengono gli ospiti arrivati sin qui per queste feste popolari. La serata viene conclusa con una buona cena tutti in compagnia in un tipico ristorante per gustare piatti della tradizione locale.  

Il giorno seguente decidiamo di raggiungere Aigues-Mortes a pochi chilometri da Saintes Maries. Con lo scooter percorriamo una strada che gira attorno alla laguna, il primo tratto è molto verdeggiante, poi ci inoltriamo in un'area più umida. Il nome stesso ”acque morte” si riferisce ad una zona paludosa e salmastra che circonda tutta la città e che occupa interamente il comune, dove le saline hanno la parte dominante. Il borgo a pianta regolare si racchiude all'interno di alte mura fortificate le cui vie si intersecano tra loro uscendo verso l'esterno attraverso numerose porte sovrastate da torrioni. In un angolo l'alta Torre di Costanza domina incontrastata la città. 

Costruita un tempo su palafitte, nella storia aveva funzione di carcere e prigionia degli ugonotti. La parte più piacevole è passeggiare tutto intorno alle mura per poi inoltrarsi nelle strette vie, dove prendono spazio numerose botteghe artigianali. Piccoli negozi con prodotti locali quali olio, miele, profumi oppure capi d'abbigliamento alla moda. Al centro, nell'intersecarsi di tutte le vie, la piazzetta raccoglie i numerosi turisti che si fermano per ripararsi dal sole nei numerosi ristoranti e bistrot posti tutto intorno. La visita è conclusa e con lo scooter riprendiamo la via del ritorno seguendo un itinerario alternativo. Superata la cittadina svoltiamo a destra per costeggiare il mare e una stradina solitaria attraversa la campagna. E' un percorso più lungo  ma più tranquillo rispetto all'andata, dove si incontrano case coloniche e maneggi. Ad un certo punto il percorso è interrotto dall'attraversamento del Piccolo Rodano con una chiatta che ci permette di arrivare ad Aigue Mortes. 

Numerose auto sono già in coda e gli orari di partenza sono ben definiti per cui in breve tempo siamo già nell'altra sponda per riprendere la via del ritorno. Il giorno seguente riprende il rito di accompagnare le Sante, Marie Jacobé e Marie Salomé, dalla Chiesa al mare, come era già avvenuto per Santa Sara. Fuori nella piccola piazza si raccolgono i Guardiani della Camargue a cavallo vestiti in costumi tradizionali in attesa dell'uscita delle Sante e pronti per accompagnarle lungo tutto il percorso rituale. E' sicuramente uno spettacolo quello che si svolge tutto intorno a questo evento annuale, un tripudio di musica, canti, tradizioni antiche, di un popolo che in questi giorni si integra bene con tutti coloro che partecipano. Il nostro soggiorno va alla scoperta della Camargue più grezza, più naturale, al di fuori delle feste e della popolarità delle sue tradizioni. 

Il viaggiare lento sul piccolo Rodano con un allegro battello bianco e rosso ci fa vedere una vegetazione e un ambiente consueto per queste terre del sud della Francia. I tamerici, alberelli esili ma molto resistenti al vento del maestrale e alla salsedine, i resti di tronchi che portati dalla corrente del fiume vengo poi trascinati col tempo in mare aperto, ancora canneti per la produzione di quelle canne che serviranno a coprire le case dei guardiani. E' tutta una vita che si svolge lungo il fiume: le grandi reti quadrate vengono immerse nell'acqua per la pesca di carpe, persici o lucci, e lì, lungo le sue sponde le cabanons,case ora di villeggiatura ma un tempo capanne di pescatori. Il battello si ferma....e una manade di tori e di cavalli bianchi arriva di corsa accompagnata dal gardian  per mostrarsi a noi visitatoti. 

E ancora campi coltivati a riso, produzione domintante in queste aree umide. Il viaggiare lento  ci fa osservare un fiume molto largo, vivo e colorato per arrivare al Bac du Sauvage, una sorta di chiatta sospinta da una ruota e direzionata da un cavo aereo per il trasporto di mezzi da una riva all'altra. Da una parte abbiamo la riva di Sainte Marie de la Mar e dall'altra quella di Aegues-Mortes. Il battello fa un'inversione per ritornare sulla via del ritorno; osserviamo ancora porticcioli per la pesca e per diporto che sono stati costruiti lungo il fiume, uccelli come trampolieri, aironi cenerini, garzette. La gita sul Tiki III è finita… ma non è certamente finita la nostra ricerca nelle tradizioni locali. 

Il giorno seguente, 26 maggio, viene ricordata la figura del Marchese Folco de Baroncelli con una festa paesana arricchita da una commemorazione storica alla presenza di tutta la cittadinanza camarghese. Il memoriale è proprio all'esterno del nostro campeggio, racchiuso dentro un parco dove una moltitudine di gente in costume provenzale si è radunata per una messa all'aperto. Guardiani a cavallo con l'emblema della Carmargue formata da una croce, un cuore e un'ancora, sono parati a difesa dell'assemblea; canti e preghiere arricchiscono la manifestazione, cesti di fiori rendono omaggio alla tomba. Dame in costume locale si fanno fotografare in questa moltitudine di gente e noi... sotto il sole cocente ci apprestiamo ad attendere l'abrivado in cui i guardiani a cavallo scortano i tori fino all'arena, per poi riportarli al pascolo durante il bandido. 

Questa giornata è proprio una festa “nazionale” per la Camargue, lo si sente nell'aria. Fermandoci a parlare con le donne, che hanno sfilato in costume provenzale, ascoltiamo dalla loro voce storie sulle tradizioni antiche e che sentono nel profondo del cuore: una carica, un entusiasmo prorompente che sanno trasmettere anche a noi. Nel pomeriggio all'interno dell'arena si svolgono giochi tra dame e guardiani a cavallo, corride divertenti con il toro che rincorre il buttero. Insomma... si può dire che questa all'arena è una festa per tutta la famiglia, con noi partecipi insieme a loro.

Le giornate sono finite... e tutti pronti per intraprendere il lungo viaggio verso casa.

DOVE ABBIAMO SOSTATO:

Camping "Le Clos du Rhone"

SISTERON… sulla via per Saints Maries del la Mer

La cittadina di Sisteron l'abbiamo incontrata lungo il percorso per arrivare in Camargue percorrendo una bellissima strada all'interno des Alpes de Haute- Provence. Dal Piemonte, dove abbiamo raggiunto degli amici di Saluzzo, entriamo da Borgo San Dalmazzo nella Valle Stura il cui fiume omonimo la percorre interamente per sessanta chilometri fino ad arrivare al confine di stato francese superando il Colle della Maddalena. 

A Vinadio è sorprendente l'imponenza del Forte Albertino che incontriamo nel percorso. E' una fortificazione di sbarramento per cui ce la troviamo davanti nel punto in cui la valle ha un restringimento. La particolarità è che congloba in essa il paese e una rete di camminamenti, percorsi di ronda, casermette e una postazione di cannoni che disegnano un  intricato progetto di difesa. La strada è in leggera salita fino ad arrivare al Colle per poi scendere nella valle de l'Ubayé. Aggrappata alla montagna la fortezza Tournoux è composta da diversi edifici incastonati nella roccia che si possono scorgere appena, come se volessero nascondersi alla vista del nemico. Seguiamo ancora la strada, superiamo Barcellonette e alla confluenza dell'Ubayé con la Durance il lago di Serre-Ponçon, secondo in Europa per riserva d'acqua, si scorge dall'alto della strada panoramica. Ancora una bellissima strada affiancata da frutteti ci accompagna fino a Sisteron lungo il fiume Durance. 
E' da sempre considerata la Perla dell'alta Provenza e una tappa obbligata fra la terra e il mare, con la Rocca che domina l'intera vallata. Nella Cittadella abbarbicata su uno sperone roccioso, costruita in diverse epoche, si può entrare e percorrere a piedi i vari camminamenti delle mura e ad ogni angolo avere visuali lontane, oppure salire all'interno di torretta per raggiungere celle di prigionia di personaggi illustri accusati di complotti contro il regime. Cunicoli sotterranei raggiungibili da scalinate congiungono la fortezza alla porta settentrionale della città. Il lento cammino ai piedi della Rocca ci fa respirare un'aria provenzale. Nel borgo antico un labirinto di viuzze lastricate e andrónes convergono in piazzette abbellite da fontane. Sulla Napoleon Route quattro Torri di pietra testimoniano un borgo fortificato. 

Durante la nostra permanenza ci siamo trovati coinvolti all'interno della Festa del popolo provenzale o più precisamente Fèsto dóu Pople Prouvençau in lingua locale. Gli eventi iniziano già dalla serata di sabato con il concerto nella Cattedrale di Notre-Dame. Il numeroso gruppo musicale Le Condor intona musiche celtiche accompagnate da pifferi suonati con la mano sinistra, mentre con la destra battono tamburi. Le musiche invadono la chiesa e coinvolgono pienamente l'intera platea che intona inni provenzali. Il giorno seguente Sisteron è tutta una festa con sfilate in costume che rievocano una tradizione antica. Gli abiti delle dame sono riccamente lavorati da pizzi e merletti la cui lavorazione è stata ereditata dalle nonne. I gioielli ricordano un tempo passato. La processione di cavalli, cavalieri e cavallerizze sfila lungo le vie con gli stemmi delle varie comunità provenzali, per poi convergere tutti al duomo per la Santa Messa. 
Prima di ripartire alla volta di Saintes Maries ci concediamo alcune visite nei dintorni di Sisteron. Con lo scooter raggiungiamo Les Pénitents des Mées, una sorta di pinnacoli che secondo la leggenda sono monaci pietrificati per aver avuto pensieri impuri verso donne saracene. Si vedono fin da lontano e una volta raggiunto il paese di Mées la vista si alza per vederne meglio l'imponenza. Per un certo tratto riusciamo a risalite il sentiero che permette di avere una visione più ampia su tutto l'abitato ed essere parte integrante di queste formazioni rocciose isolate. Poi, una volta ripresa la strada del ritorno raggiungiamo un villaggio dell'entroterra tra macchie di lavanda non ancora fiorite. 

Cruiz è una cittadina a 700 mt di altezza che ha un aspetto caratteristico provenzale, con le sue case in pietra, il colore lillà della lavanda, le sue viuzze ben tenute che si intersecano le une alle altre per poi ritrovarsi nella piazzetta dell'abbazia di San Martino con il chiostro e le arcate o in quella con la fontana. Un vecchio lavatoio in fondo al paese testimonia un tempo passato. I Borghi di Carattere fanno parte di un circuito più ampio identificato su un territorio comprendente parte della provincia di Cuneo e parte del dipartimento delle Alpi dell'Alta Provenza. Cuiz ne fa parte con eventi culturali che ne tengono viva l'anima propria del borgo.

DOVE  ABBIAMO  SOSTATO
A Vinadio nel parcheggio fuori del paese
A Sisteron nell'area attrezzata adiacente la stazione ferroviaria.

COSA  ABBIAMO  IMPARATO
Abbiamo imparato a studiare il territorio e scoprire che in Francia ci sono circuiti che raggruppano villaggi di carattere per dare un peso maggiore al territorio.
Abbiamo imparato a viaggiare su strade secondarie molto belle e panoramiche evitando autostrade. Grazie a trasferte lenti si apprezza maggiormente il paesaggio.

Abbiamo osservato che in Francia non mancano le aree attrezzate, per cui è molto facile trovare punti per la sosta.

sabato 13 maggio 2017

GENOVA... CASELLA 28 aprile – 1 maggio 2017

La Ferrovia e i Forti di Genova

La base per questo nuovo incontro di primavera è stata scelta nella cittadina di Casella in provincia di Genova. Il luogo ha per noi un'importanza logistica in quanto è da qui che parte un Trenino Storico che a diverse tappe attraversa l'Appennino per arrivare in Stazione Manin a Genova. In questi giorni sarà il nostro mezzo di trasporto per raggiungere l'entroterra ligure.
La trasferta di questo lungo ponte del primo maggio ha raccolto l'adesione di un'altra associazione culturale proveniente dalla provincia di Mantova: I Cantori del Caldone, che ha scelto di trascorrere insieme a noi queste giornate di festa. Ci ha accompagnato il Gruppo Storico Fieschi, importante divulgatore di storie legate al territorio. 
Il giorno seguente all'arrivo il programma prevede una lunga passeggiata in un ambiente naturalistico tra terra e mare. Al mattino saliamo sul trenino, composto di poche carrozze rigorosamente storiche, con sedili in legno e con il suo procedere lento lungo un percorso di forti pendenze e strette curve, parte da un'altezza di 458 mt. per poi raggiungere il mare.  
La stazione di Campi è il punto di partenza per l'escursione al giro dei Forti. Il sistema difensivo che Genova ha voluto costruire nel corso dei secoli ha portato ad avere dei baluardi e delle cinte murarie imponenti, raggiungibili mediante svariati sentieri immersi in una natura incontaminata. Il gruppo è molto folto e tutti insieme ci incamminiamo per raggiungere Forte Puin, in genovese “Padrino”, meta di una prima sosta. 

Il sentiero si fa tortuoso e già da lontano si comincia a scorgere con la sua maestosità Forte Diamante, il più imponente di tutti. Solo qualcuno decide di raggiungerlo, visto che per la pendenza il sentiero si fa impervio. La maggior parte del gruppo prosegue lungo la meta prefissata. Intanto, si arriva  a pianori da dove si può avere una visione d'insieme della città di Genova. La giornata è splendida e con un buon cannocchiale la vista raggiunge perfino le lontane coste della Corsica. Ci guardiamo attorno e ad ogni curva, ad ogni angolo, appaiono alla vista fortificazioni rimaste nei secoli o resti, come il Forte Maggiore, demolito per fare posto, in tempi recenti, a postazioni antiaeree. Dopo una giornata così intensa riprendiamo il trenino per raggiungere Casella Paese e godere di una serata di musica in compagnia del Coro nella bella  Parrocchiale di Santo Stefano. Risalente al secolo XVIII, la chiesa ha una facciata maestosa che si affaccia su un'ampia piazza. Internamente ha una lunghezza doppia della larghezza, un tempo intonacata di bianco per far risaltare al meglio il gioco di luci e ombre delle nicchie laterali, ora invece è riccamente affrescata con storie della vita di Santo Stefano. A forma ellittica, con due fuochi, permette di avere un'acustica eccezionale. 

Durante la messa i coristi accompagnano la celebrazione con alcuni canti religiosi e subito la musica avvolge ognuno di noi. Di seguito prendono posto per un concerto la cui esibizione colpisce d'incanto tutta la platea. L'incalzare della musica ci permette di trascorre una bellissima serata, anche dopo quando, al termine del concerto, ci raccogliamo tutti in amicizia per un momento conviviale. La serata finisce, ma il giorno seguente ci ritroveremo il giorno seguente di nuovo in viaggio sul trenino storico alla volta di Genova.
Ancora una giornata di sole, il treno scende. Dai finestrini si scorge il paesaggio che il giorno prima avevamo attraversato a piedi: il Forte Diamante, imponente a guardia del territorio e... le altre fortificazioni minori. Dentro e fuori gallerie che tagliano montagne, il trenino procede offrendo scorci di mare e viste sulla città, che si erge verticale e compatta. La linea ferrata arriva alla stazione Manin e da qui si raggiunge facilmente il centro città. Il gruppo, che occupava due carrozze, ora si ricompatta folto per proseguire alla volta del Porto Antico. Durante l'attesa delle guide che ci avrebbero accompagnato nel centro storico più ampio d'Europa, sostiamo per un momento conviviale nell'ampia area adiacente il bacino portuale. Nella Piazza Caricamento, più volte rimaneggiata, dove ora è la metropolitana di Genova, il mare arrivava fino ai Portici. Da un'antica storia, nasce una città che ha il fulcro nello scambio di merci e nel rapporto tra uomini di etnie diverse. Dal 1133 è stato costruito questo lungo porticato di un chilometro che si affaccia al porto per proteggere le fondazioni di quelle abitazioni che venivano lambite dal mare. Da qui, Sottoripa, sotto la riva. Possiamo immaginare un vociare di camalli, uomini che con i loro carichi sulle spalle portavano le merci dalle navi nei fondaci, magazzini di stoccaggio, commercianti che nei propri scagni, uffici, si appartavano per concludere buoni affari, carretti che venivano trasportati a mano lungo i carrugi, per depositare le merci in altri sottoportici lungo le calli strette della città. E' tutto un fervore di commercio di spezie, pietre preziose, pelli e quant'altro abbia un alto valore economico. I mercanti si incontravano poi nella piazza Banchi, così chiamata proprio per la presenza dei banchi dei notai, e lì facevano buoni affari. La Loggia della Mercanzia è il cuore dell'attività del tempo. 
Intanto i Portici di Sottoripa con gli anni hanno cambiato la loro funzione iniziale, un po' per le distruzioni delle guerre, un po' perché i locali hanno modificato il loro stato d'uso. Nonostante tutto si può comunque assaporare ancora un profumo di antico, soprattutto leggendo il nome delle strade, come via Orefici, zona di famiglie ricche ove i portali delle abitazioni sono decorati da rilievi; in città se ne contano ben 102. I vicoli genovesi hanno la caratteristica che, raggruppando in essi botteghe artigianali, prendono il nome dell'attività svolta: Piazza Pellicceria, salita Pollaiuoli. In questo senso, “andar per botteghe”, è un raccontare la storia del passato vissuta nel presente. 

Nel cuore di vicoli possiamo imbatterci nella confetteria Romanengo che fin dal 1780 ha saputo mantenere un'atmosfera magica sia negli arredi interni che nella qualità dei suoi dolci. La caffetteria e pasticceria della famiglia Klainguti, originaria della Svizzera, arrivata a Genova per partire alla volta dell'America e poi affermatasi in città per la deliziosa pasticceria. La nostra passeggiata prosegue in Via dei Macelli, ove nel lontano medioevo era nata una corporazione che raggruppava questa categoria. Altra sosta è la Tripperia Casana, oggi chiusa al pubblico, in quanto domenica. Senza dimenticare i luoghi vissuti dal cantautore Fabrizio De Andrè, che continua a raccontare come un menestrello e in lingua originale genovese, il vissuto della sua città, tra i colori, i profumi, ma anche la gente protagonista di amore, prostituzione, contrabbando. Un bar, una via ... del Campo, ci ricorda una sua canzone.
Casana

Nel dedalo di questa città, che per secoli ha visto mutare il suo aspetto, un elemento accomuna il tutto, ed è il potere del commercio. Il centro storico di Genova era anticamente suddiviso in sei rioni, ciascuno dei quali corrispondeva ad un sestiere, in quello del molo, nei pressi dia Porta Soprana rimangono a tutt'oggi resti di mura a difesa della città. I Sestieri non sono altro che quartieri, come del resto va ricordato a Venezia, e a Genova se ne contano sei.  In un angolo, una piccola insegna indica la casa di Cristoforo Colombo, nei cui pressi osserviamo il primo grattacielo d'Italia costruito in età fascista.
Percorrendo le vie della città scorgiamo palazzi, che fin dalla storia delle Repubblica erano un emblema della potenza marinara. Il Palazzo Ducale con l'attigua Torre del Popolo è stato la residenza dei Dogi. Simone Boccanegra fu il primo a prenderne possesso, anche se ben presto ne perse il potere forse avvelenato dai suoi rivali. Tra gli edifici scorgiamo l'antica Torre della Grimaldina, adiacente al Palazzo Ducale, che può raccontarci molte storie avvenute all’interno delle sue carceri. 
Tra i caruggi si aprono piazzette e chiese che richiamano l'attenzione per la particolarità della loro collocazione. Una di queste è senz'altro la chiesa di S. Pietro in Banchi. La storia racconta che essa fu costruita con i proventi degli affitti dei negozi sottostanti come del resto avvenne anche per la Loggia dei Mercanti. Attualmente la chiesa appoggia su un basamento di negozi e magazzini, sopraelevata alla piazza. 
La Parrocchiale di San Matteo, anch'essa racchiusa nella piccola piazza omonima, colpisce per la facciata in marmo bianco e nero. Siamo in quello che un tempo era l'insediamento dei Doria e la storia della famiglia è incisa sul marmo bianco della facciata. Numerosi sono i palazzi gentilizi che si susseguono lungo il nostro cammino e certamente tutti meriterebbero una maggiore attenzione. 
I Palazzi dei Rolli sono sontuose residenze concentrate per la maggior parte lungo la “Strada Nuova”. 




Tra il 1500 e 1600 quest'area, appena fuori dal nucleo storico, era molto povera, per cui l'acquisto della stessa avvenne per pochi denari. In seguito, le 20 famiglie nobiliari della città, tra cui i Fieschi, i Grimaldi, gli Spinola, i Doria, costruirono ben 120 sontuose dimore dando prestigio alla zona. La particolarità delle residenze è che esse vennero riconosciute come dimora di rappresentanza per visite di stato. L'ospite di passaggio in città, a seconda della sua importanza, veniva accolto nella dimora assegnata per sorteggio tra i palazzi appartenenti a quella data categoria. In tutta la città sono 42 i Palazzi Patrimonio dell'Unesco e la maggior parte sono concentrati lungo la Strada Nuova. Il Rollo era semplicemente un foglio di carta arrotolata in cui erano censite in base alla loro grandezza e maestosità le residenze, in tre categorie d'importanza.
Al termine della visita della città ritorniamo con il solito trenino a Casella Paese ed in serata assisteremo al secondo concerto dei Cantori del Caldone presso il Teatro Don Botto a Savignone.
Nell'ultimo giorno veniamo accompagnati da Andrea Tacchella, personaggio di spicco del Gruppo Storico Fieschi, per una visita di Casella. Al tempo dei Longobardi il nome della località era Redigabio, fulcro abitativo e sulla Via del Sale, che collegava Genova alla Pianura Padana, sulla Via Maresca nel senso inverso. Sulla Piazza XXV Aprile, si affaccia il Palazzo Fieschi, dove si pagava il dazio. Sulla facciata compaiono ancora due stemmi della famiglia. Risalendo verso la collina la “casa del macello” segna il tempo con due orologi solari sulla parete ed era punto di riferimento per regolamentare il mercato medioevale.
Ultima tappa è l'Oratorio di Sant'Antonio Abate. In esso è da sempre la sede della Confraternita fondata nel maggio del 1556 da un sacerdote proveniente da Forlì e fermatosi a Casella dopo aver saputo che mancava il parroco. 
La pavimentazione antica dell'Oratorio proviene dalla fornace del paese fatta costruire dalla Famiglia Fieschi. 
La descrizione dettagliata dell'oratorio da parte del Priore della Confraternità mette in evidenza i due giganteschi crocifissi che vengono portati durante le processioni religiose; l’attenzione si pone sui due Cristi: uno nero in legno d'ebano, più prezioso, l'altro bianco in legno povero. 
La nostra ultima uscita è stata molto positiva anche grazie alla buona collaborazione di tre associazioni: Camminare InCamper, i Cantori del Caldone e il Gruppo Storico Fieschi, che, pur arrivando da realtà diverse, hanno collaborato alla buona riuscita di tutte le attività. 
Un grazie a tutti.